In Sicilia, la situazione previdenziale per molti lavoratori pubblici è diventata un tema di grande rilevanza. Secondo il comitato regionale Inps, circa 9.000 dipendenti tra precari e stabilizzati si trovano a fronteggiare trattamenti pensionistici che possono essere definiti “ai limiti della sopravvivenza”. Questa realtà è emersa durante la presentazione del Rendiconto sociale Inps Sicilia 2023, un incontro che ha visto la partecipazione di vari rappresentanti delle istituzioni locali e delle parti sociali. La responsabile del comitato, Valeria Tranchina, ha lanciato un appello affinchè si trovino soluzioni adeguate per chi sta per concludere la propria carriera lavorativa.
Il problema della sostenibilità previdenziale
Il dibattito è acceso: ci sono segnali di allerta riguardo alla sostenibilità sociale ed economica dei pensionamenti, in particolare per gli ex precari della pubblica amministrazione siciliana. Questo problema non si limita solo ai comuni, province e regioni, ma si estende anche ad altre entità pubbliche come tribunali, centri per l’impiego e addirittura parrocchie. Qui, molti lavoratori, tra cui ex Resais, ex Pip e ex Asu, sono stati impiegati con contratti part-time e salari minimi, creando un percorso lavorativo frammentato e insoddisfacente.
Il paradosso del lavoro part-time nella pubblica amministrazione
Valeria Tranchina sottolinea come il lavoro pubblico part-time penalizzi l’intero sistema regionale, con una diminuzione dell’organico del 40% negli ultimi dieci anni. In un contesto in cui gli enti locali faticano a mantenere i servizi per i cittadini, è paradossale che vi siano migliaia di lavoratori pubblici costretti a lavorare solo part-time. In particolare, i lavoratori definiti “Articolisti”, che hanno trovato impiego grazie all’articolo 23 della Legge 67 del 1988, sono tra i più colpiti. Questo provvedimento, nato per favorire il lavoro sociale nel Mezzogiorno, ha portato migliaia di persone a entrare nel mercato del lavoro con contratti precari e stipendi ben al di sotto della soglia di sussistenza.
Storia di precarietà e speranza
Dal 1996, una parte di questi lavoratori ha iniziato a dipendere direttamente dagli enti pubblici come lavoratori socialmente utili (Lsu), con un incremento delle retribuzioni e l’introduzione di contributi previdenziali figurativi. Tuttavia, la precarietà è continuata: nei primi anni 2000, molti di loro sono stati riclassificati come lavoratori a contratto di diritto privato, con ore settimanali variabili e contratti a tempo determinato. Questo ha reso la loro posizione ancora più vulnerabile, senza la certezza di un futuro previdenziale adeguato.
Un appello alle istituzioni
Il comitato regionale Inps conclude che questi lavoratori hanno fornito servizi essenziali alla collettività, contribuendo al funzionamento degli enti pubblici nonostante le loro condizioni precarie. Con un aumento della domanda di servizi da parte dei cittadini, è fondamentale che le istituzioni intervengano per risolvere una situazione che si configura come una vera e propria ferita nel sistema sociale. Tranchina ha lanciato un appello al governo regionale, alle forze politiche e ai sindacati affinché si possano trovare soluzioni dignitose per tutti coloro che, attraverso contratti inadeguati, si vedono privati di diritti fondamentali.