In un periodo in cui la guerra e la violenza sembrano dominare le notizie, le parole di suor Nabila Saleh, membro delle Rosary Sisters, emergono come un faro di speranza e umanità. Attualmente a Gaza, suor Nabila condivide con il mondo la sofferenza di un popolo messo a dura prova dai conflitti, esprimendo il suo profondo desiderio di giustizia e pace. La sua testimonianza non è solo un racconto, ma un potente richiamo alla consapevolezza globale, un appello urgente ai governanti affinché rompano il silenzio e riconoscano il dolore altrui.
La vita quotidiana in un contesto di guerra
Suor Nabila non è solo una testimone della sofferenza, ma ha vissuto a Gaza per quindici anni. Prima come direttrice della più grande scuola privata della Striscia e poi come sostegno per gli sfollati che cercavano rifugio nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, recentemente colpita da un bombardamento. La sua esperienza personale le consente di comprendere profondamente le paure e le speranze della comunità. “So cosa significa vivere in guerra”, afferma con una voce carica di emozione. Questo legame con i giovani, per i quali ha sempre cercato di promuovere l’istruzione e l’umanità, rappresenta un filo vitale che continua a nutrire anche in questi momenti di crisi.
Nel suo racconto, suor Nabila esprime la preoccupazione per le vite spezzate e per quelle che continuano a essere colpite dagli eventi bellici. Ogni parola porta alla luce il dolore di chi non ha più la forza di resistere e di chi ha perso la speranza. La sua voce diventa un simbolo di resilienza umana, un grido per la giustizia che deve essere ascoltato. Ma come possiamo noi, dall’altra parte del mondo, contribuire a questa causa? La risposta sta nella consapevolezza e nell’azione collettiva.
Ricordare le vittime e mantenere viva la memoria
La memoria delle vittime è un tema ricorrente nel discorso di suor Nabila. “Foumia Issa Latif Ayyad”, racconta, “era una donna buona e dedita, una vera guida per i giovani della sua comunità. La sua ferita è una ferita per tutti noi”. La perdita di figure come Foumia non rappresenta solo un colpo per la comunità, ma evidenzia come la guerra distrugga non solo le vite, ma anche le speranze e i sogni di un intero popolo.
Suor Nabila non dimentica nemmeno Saad Issa Kostandi Salameh, il portinaio della chiesa, descritto come una persona sempre pronta ad aiutare. La sua morte è un ulteriore segno di quanto la guerra colpisca senza pietà, lasciando una scia di dolore e vuoto. “Il Signore dia loro la pace e la vita eterna”, è la sua preghiera, un invito a non dimenticare mai coloro che hanno sacrificato le loro vite per il bene degli altri. Quante volte ci siamo fermati a riflettere sui volti e le storie di chi è colpito da conflitti lontani? Dobbiamo farlo, perché ogni vita conta.
Un appello alla pace e alla giustizia
La testimonianza di suor Nabila si conclude con un forte appello alla comunità internazionale: “Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a queste ingiustizie”. Le sue parole sono un invito a tutti noi a riflettere sulla nostra responsabilità nei confronti di chi soffre. In un mondo dove i conflitti sembrano una costante, l’impegno per la pace deve diventare una priorità. La storia ci insegna che ogni azione, anche la più piccola, può contribuire a un cambiamento significativo. E tu, cosa puoi fare per dare voce a chi non ce l’ha?
In conclusione, le parole di suor Nabila non sono solo una testimonianza di dolore, ma anche un richiamo a mantenere viva la speranza. La sua voce ci invita a guardare oltre il conflitto, verso un futuro in cui la giustizia e la pace possano finalmente prevalere, e dove la sofferenza possa trasformarsi in opportunità per costruire una comunità più unita e solidale. La vera sfida è quella di non dimenticare e di continuare a lottare per un mondo migliore.